Le barriere alla motivazione

Marco è un direttore di funzione di una grande azienda manifatturiera insoddisfatto per i risultati che sta ottenendo. Ha molte persone che dipendono da lui e ha ben chiaro cosa significhi motivazione. La descrive come persistenza, intraprendenza, senso di responsabilità, impegno, volontà di fare più di quanto non sia richiesto o dovuto per un progetto o per dei colleghi.
Come molti altri dirigenti nella medesima situazione ha però poche idee su come sostenerla o stimolarla, soprattutto a causa del fatto che non si rende conto di essere lui stesso parte integrante di un ecosistema motivazionale.

Si ha motivazione quando gli individui si sentono considerati, sostenuti, sfidati, e supportati nel loro lavoro. Tutte variabili che un leader può influenzare. Nel bene o nel male, infatti, le attitudini e i comportamenti dei leader hanno un enorme impatto sulla performance. Quali sono allora le barriere che impediscono di interpretare in maniera efficace la motivazione? Conoscerle aiuta a comprendere gli errori più comuni che vengono compiuti e offre preziosi indicazioni su come trovare una strada per superarle.

1. Vedere gli incentivi economici come il principale strumento a disposizione
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Questo modello mentale è limitante non solo perché impedisce di apprezzare tutte le sfumature che compongono il delicato tema della motivazione ma anche perché non aiuta a capire che ogni tipo di incentivo che viene fornito non ha valore di per sé ma per come viene percepito da chi lo riceve. Alcuni studi hanno mostrato in maniera chiara come le persone sono spesso concordi nel sostenere che gli altri sono motivati principalmente dall’interesse materiali mentre loro prestano grande attenzione a variabili quali il riconoscimento o l’identità. Imparare a mettersi nei panni degli altri ci può aiutare a capire quali leve sono più efficaci per generare una sana propensione al raggiungimento degli obiettivi aziendali.

2. Pensare che la motivazione sia una qualità intrinseca delle persone, qualcosa che hanno o non hanno.

E quando crediamo che una persona non sia motivata abbandoniamo l’idea di provare a motivarla. Si crea così un circolo vizioso in cui le nostre ipotesi stimolano il comportamento che ci aspettiamo e questo a sua volta rinforza e giustifica la nostra idea e il nostro approccio. Questo modello mentale affonda le sue radici nel principio psicologico noto come errore fondamentale di attribuzione. Le persone quando giudicano gli altri tendono ad attribuire i loro comportamenti a delle predisposizioni personali mentre quando giudicano se stesse danno molta più importanza ai fattori contestuali che possono aver influenzato quei comportamenti. Partire dal presupposto che le persone vanno bene ma le circostanze, a volte, sono sfavorevoli, aiuta a superare questo limite.

3. Interpretare il rapporto di lavoro come un sistema a somma zero in cui le risorse economiche disponibili sono quantità fisse.

Se lo immaginiamo come una torta, metaforica, che azienda e lavoratori si devono spartire, allora se uno prende di più l’altro riceverà di meno. Le relazioni economiche sono però innanzitutto rapporti tra persone, relazioni sociali, come quelle amicali o familiari. Non neghiamo un aiuto o un po’ di attenzione ai nostri cari o ai nostri amici nel pensiero che ne riceveremo di meno indietro. Nelle relazioni di lavoro bisogna investire e alimentare il senso di fiducia e di reciprocità sui cui si fondano.

4. Considerare le persone che lavorano come degli oggetti.

Vederle come delle macchine che hanno una funzione o un compito da svolgere, che vanno giudicate solo ed esclusivamente sul raggiungimento o meno di tali obiettivi. Una visione di questo genere può facilmente degenerare fino ad arrivare a vedere le persone come dei veri e propri problemi. A nessuno piace non essere riconosciuto come persona e questa è una delle principali fonti di disconnessione dal proprio lavoro alla base delle crisi di produttività e della demotivazione.

l caso tipico che riassume le barriere alla motivazione è quello del manager che inizia il suo lavoro in un gruppo con le migliori intenzioni. Appena però la performance cala, o lui ravvisa degli indizi di scarso impegno, subentra la frustrazione verso la persona che velocemente viene giudicata come demotivata.
“Come leader all’inizio tenevo molto ai bisogni emotivi del mio staff. Sfortunatamente questo ha portato a un’eccessiva libertà e all’approfittarsi della mia disponibilità e dei miei sentimenti con il risultato di perdere tempo e creare un ambiente negativo. Alla fine ho imparato a dare meno importanza ai sentimenti e di più a raggiungere i risultati che vengono fissati. Fino a che ciò che mi aspetto è chiaro, le persone vengono pagate e l’ambiente è sicuro non c’è spazio per altro sul luogo di lavoro.”

Se vogliamo creare delle persone più motivate dobbiamo tenere a mente alcune semplici considerazioni.

  • Come i dipendenti sperimentano la quotidianità ha un’influenza maggiore sulla motivazione che non il compenso o i benefit che ricevono
  • La motivazione è un processo dinamico e non una caratteristica stabile
  • Il rapporto di lavoro è un gioco a somma maggiore di zero dove gli investimenti sulla motivazione sono in grado di generare un ritorno di cui poi tutti possono beneficiare
  • Sviluppare curiosità per il punto di vista degli altri contribuisce a valorizzare il loro lavoro e a innescare un circolo virtuoso in cui la fiducia percepita genera motivazione che porta a risultati migliori.

Pensiamo al miglior capo che abbiamo mai avuto, a cosa faceva e a come ci faceva sentire. Valutiamo quei comportamenti alla luce di quanto appena visto e cerchiamo di capire cosa potremmo mettere in pratica domani.
Non focalizziamoci su come controllare le persone ma su come possiamo facilitare la loro motivazione.

By | 2017-03-22T11:44:36+00:00 marzo 22nd, 2017|Decision making, Motivazione|0 Comments

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