Come prendere decisioni efficaci: i segreti dell’economia comportamentale

I manager fanno troppo spesso fatica a comprendere e interpretare i comportamenti dei propri dipendenti, dei propri clienti e, in generale, dei propri interlocutori. Frequentemente, infatti, questi comportamenti deviano dai canoni della razionalità e loro non sono in grado di capire, né tantomeno anticipare, da cosa siano guidati. Il loro punto di vista è condizionato dal fatto che per anni la teoria economica classica è partita dal presupposto che gli individui prendono decisioni basandosi solamente sul pensiero razionale. E questa cultura si è diffusa e radicata nelle aziende e nella società. In realtà le più recenti ricerche suggeriscono che le decisioni economiche sono razionali solamente per il 30%, mentre per il restante 70% sono emotive e istintive.

Per comprendere meglio questo problema, molto sentito a causa del livello crescente delle tensioni competitive, si sta diffondendo e consolidando una disciplina, l’economia comportamentale. Il suo campo di ricerca ha origine nell’intersezione tra l’economia e lo studio della natura umana.

L’economia comportamentale studia gli effetti dei fattori psicologici, sociali, cognitivi ed emozionali sulle decisioni economiche di individui e organizzazioni.

Insieme alle neuroscienze aiuta a comprendere come le persone percepiscono gli stimoli, come sviluppano le opinioni e come operano le scelte. La sua caratteristica più importante è che non è un mero esercizio teorico, ma contiene indicazioni per capire come stimolare concretamente maggiori livelli di crescita e di profitto.

Secondo le analisi del prestigioso istituto di ricerca americano Gallup, infatti, le aziende che applicano i principi dell’economia comportamentale generano una performance superiore a quella dei concorrenti pari all’85% in termini di crescita delle vendite e a più del 25% in termini di margine lordo, nell’arco anche di un solo anno. Sono molti i benefici facilmente e rapidamente ottenibili grazie agli strumenti e alle osservazioni dell’economia comportamentale.

Ogni azienda ha un enorme e inesplorato potenziale per miglioramenti significativi della produttività dei dipendenti, del numero dei clienti, del volume delle vendite e della profittabilità. E vi sono prodotti, servizi e consulenze studiati e disegnati per aiutare il management a comprendere la natura umana e far leva su di essa per stimolare una crescita reale e tangibile.

Scopriamo di più

Richard Thaler nel 2017, e Daniel Kahneman, prima di lui, nel 2002, hanno vinto il premio Nobel per l’Economia per aver integrato la psicologia nell’economia. Come studiosi, negli ultimi 40 anni, hanno ricoperto un ruolo fondamentale nello sviluppo di questa disciplina e il loro lavoro ha generato un impatto significativo su economisti, ricercatori, aziende e anche sulla politica.

L’economia comportamentale incorpora riflessioni sul comportamento umano per evidenziare come prendiamo realmente le nostre decisioni e perché ci comportiamo spesso in maniera apparentemente irrazionale. Il fatto è che tutti cerchiamo di prendere decisioni razionali ma abbiamo capacità cognitive, risorse mentali, auto controllo e volontà limitati per farlo.

Cosa fa l’economia comportamentale?


Applicare l’economia comportamentale alla strategia aziendale aiuta ad allineare i processi e i servizi con i valori delle persone e con il modo in cui effettivamente pensano e si comportano. Ci sono moltissime analogie con il design thinking. Entrambi condividono la convinzione che comprendere il comportamento umano e le emozioni aiuta a disegnare e fornire prodotti, servizi ed esperienze di consumo più efficaci. Entrambi mettono le persone al centro della strategia.

Cosa guida i comportamenti

I nostri meccanismi cognitivi sviluppano delle abitudini, dei meccanismi automatici, i bias, e questi influenzano il modo in cui vediamo il mondo aiutandoci a prendere decisioni, rapide ed efficaci, nella vita quotidiana, L’aspetto negativo è che possono anche renderci ciechi di fronte ad altre informazioni e inibirci nel prendere in considerazione e mettere in atto altre opzioni, più valide ed efficaci, quando dobbiamo prendere decisioni importanti. Se ne prendiamo coscienza possiamo però efficacemente contrastare questi pericoli.

Vediamo alcuni semplici casi di bias e come questi ispirano azioni che sperimentiamo quotidianamente:

  1. Il bias dello status quo
: le opzioni di default sono potenti perché tendiamo ad accettare lo status quo. Ad esempio nei paesi in cui la scelta di diventare donatore è di default mentre è facoltativo recedere i donatori sono, in media, sopra il 90%. D’altro canto in quelli in cui per diventarlo bisogna esprimere una scelta la percentuale precipita sotto al 30%. Lo stesso meccanismo interviene quanto continuiamo a rimanere abbonati a una rivista anche quando ormai non la consultiamo più con lo stesso interesse e, soprattutto, non saremmo neanche più disponibili a comparla. Cosa possiamo fare: disegnare opzioni ben strutturate che prevedano default o nessuna azione di adesione ai servizi o ai prodotti offerti in modo che sia più semplice per le persone sceglierli.

  2. Il bias dell’avversione alle perdite: i consumatori sono moto più inclini a correre dei rischi allo scopo di evitare delle perdite che non per ottenere dei vantaggi. La sofferenza psicologica per la perdita di €100 è il doppio del piacere prodotto dal guadagnare la stessa somma. Cosa possiamo fare: generare scarsità con messaggi del tipo “agisci ora o perderai l’occasione”. Questo genere di comunicazione è molto più efficace che non offrire maggiori benefici per l’acquisto. Offrire periodi di prova gratuiti. Questo aiuta gli utilizzatori a sviluppare un senso di possesso del vostro prodotto e diminuisce la possibilità di disdetta o di reso quando il periodo di prova finisce.

  3. Il bias dei costi sommersi
: la paura della perdita rende difficile abbandonare un progetto, una nuova attività o qualcosa in cui ci eravamo già impegnati, economicamente o personalmente, anche quando le risorse che vi abbiamo investito non possono comunque essere più recuperate e, proprio per questo motivo, dovrebbero essere ininfluenti rispetto alla decisioni di proseguire o meno ciò che stiamo facendo. Questo bias ci intrappola nel pensare che siccome abbiamo già investito molto su quella cosa allora dovremmo continuare a farlo, bloccandoci in situazioni negative e destinate a danneggiarci. Cosa possiamo fare: riesaminare le premesse con cui facciamo le nostre considerazioni e esplorare alternative avendo come orizzonte il futuro e non variabili passate che non sono più in grado di alterare il risultato finale.

  4. L’eccesso di scelte: quando ci vengono date troppe opzioni soffriamo di una fatica da scelta chiamata anche paralisi decisionale. Svariate ricerche hanno dimostrato che offrire meno alternative di scelta ai consumatori è in grado di incrementare tangibilmente le vendite. Cosa possiamo fare: rendere semplice ai consumatori la scelta.

  5. L’effetto framing
: avviene quando basiamo il nostro giudizio sul fatto che una scelta venga presentata in un modo piuttosto che in un altro. Messaggi negativi portano con sé associazioni negative mentre messaggi positivi attivano associazioni positive. Cosa possiamo fare: un prodtto può essere commentato dicendo che è affidabile al 99% o che si rompe in 1 caso su 100, e in questo modo si enfatizza un tipo di informazioni rispetto ad un’altra.

In conclusione

Se si vuole far si che le persone si comportino in un certo modo bisogna renderglielo semplice, rimuovendo gli ostacoli che trovano davanti a sé lungo il processo decisionale che devono compiere. Per ottenere questo risultato non sono sufficienti le leggi della fisica o quelle dell’economia, ma anche capire come i processi cognitivi e le emozioni influenzano le loro percezioni, la loro volontà e i loro desideri. Per essere in grado di farlo dobbiamo conoscere le dinamiche della nostra mente, e questo è esattamente il percorso lungo cui ci conduce lo studio e la conoscenza dell’economia comportamentale.

By | 2017-10-24T16:50:54+00:00 ottobre 24th, 2017|Decision making, Economia comportamentale, Strategia|0 Comments

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